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Il nuovo delitto di Autoriciclaggio

La L. 186/2014, oltre ad aver introdotto il sistema di “Voluntary Disclosure”, che non sarebbe altro che un ulteriore scudo fiscale per chi vuole procedere a far rientrare in Italia i propri capitali detenuti all’estero, introduce il cd. delitto di Autoriciclaggio, così specificato dall’art. 648 ter. 1 c.p.: Comma 1. Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa Comma 2. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Comma 3. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni. Comma 4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Comma 5. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. Comma 6. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto. Comma 7. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648. Per come è formulato l’articolo, emergono immediatamente alcuni problemi di natura applicativa. Con l’introduzione di questo articolo, il legislatore ha voluto punire coloro che oltre a commettere un reato, di per sé già sanzionato dalle legge, traendone un vantaggio economico, utilizzano tale guadagno in ulteriori attività economiche. In tal modo, chi commette ad es. un furto, una rapina od altro reato di natura patrimoniale, ed utilizza in attività economica il provento del reato, commetterà, da oggi in poi, due reati: il reato presupposto, ovvero il furto, la rapina…etc.. ed in più anche il reato di autoriciclaggio appena introdotto. Si crea, in questo caso, innanzitutto un problema in riferimento all’onere della prova. Per gli organi inquirenti sarà complicato dimostrare che il reo ha fatto uso di quel provento e non di altri fondi che già possedeva e potrebbe diventare complicato dimostrare il contrario nel caso in cui la giurisprudenza pervenisse ad una soluzione di inversione dell’onere della prova, inversione che spesso la Suprema Corte sta individuando come criterio cardine nell’ambito della ricerca della prova nei reati patrimoniali. In questi casi, sia con l’onere della prova a carico degli inquirenti, che a carico del reo, ci si troverebbe spesso ad avere a che fare con una prova c.d. “diabolica”, cioè difficilmente dimostrabile ma anche difficilmente scardinabile. Un altro pericolo applicativo è legato ai reati di natura fiscale. L’autoriciclaggio è applicabile anche ai reati fiscali, quali omesso versamento IVA, omesso versamento ritenute previdenziali INPS, omessa dichiarazione, dichiarazione infedele etc… ? Dal dettato normativo emergerebbe un dubbio. La ratio posta a fondamento della legge dovrebbe far propendere per la risposta affermativa, in quanto, anche e soprattutto i reati fiscali portano nelle tasche del reo dei proventi economici illeciti. In genere tali proventi vengono ottenuti proprio col fine del reimpiego in altre attività economiche. A ben vedere, però, nell’articolo si indica: “provenienti dalla commissione del delitto”, enunciazione che presuppone un moto da luogo. In tal senso i reati fiscali non si traducono in capitali che vengono mossi da un luogo al patrimonio del reo, ma, anzi, sono già presenti nel patrimonio del reo e lì si decide di lasciarli. In effetti, in questi casi, c’è un risparmio che si traduce in guadagno e non un guadagno diretto come nel caso di furti, rapine etc… In questo senso si potrebbe anche ritenere, in astratto, che l’autoriciclaggio non sia applicabile ai reati fiscali. Un ulteriore problema, poi, è dettato dalla dicitura: “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Che cosa si intende? Si ostacola l’identificazione se si utilizza quel provento con un semplice bonifico? Se il reo utilizza il provento spendendo in assegni, c’è l’ostacolo all’identificazione? Se si utilizzano dei prestanomi per dei pagamenti fino a che punto è applicabile la disciplina de quo? Questo ed altri problemi di natura interpretativa ed applicativa potranno essere risolti solo dalla Giurisprudenza, che sempre più spesso viene chiamata in causa a colmare le lacune lasciate da un legislatore frettoloso e distratto.