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L’attività della persona offesa nel reato stalking. Novità legislative e risarcimento del danno da “atti persecutori”.

Il concetto di Stalking, etimologicamente di origine venatoria, significa letteralmente “fare la posta ad una preda”. Di origine tipicamente anglosassone, emerse come fenomeno nei primi anni 80 negli Stati Uniti d’America, a seguito di gravi fatti che coinvolsero personaggi dello spettacolo, perseguitati da ammiratori e/o detrattori, con conseguenze a volte letali per le stesse vittime.

In Italia, la sua introduzione, fino ad allora sconosciuta, nacque in un contesto ben preciso e per una esigenza specifica: proteggere le donne da comportamenti persecutori per lo più operati da ammiratori o ex partner “ripudiati” o allontanati. Una norma sugli atti persecutori era altresì fortemente richiesta anche perché spesso, l’atteggiamento molesto, era la spia di delitti più gravi, annunciati che non trovavano nel nostro ordinamento adeguati strumenti di contrasto preventivi ( es. violenza sessuale o omicidio ).

La condotta è normalmente quella di un soggetto che, individuata la vittima come centro polarizzatore delle proprie attività persecutorie, attraverso una serie di condotte, reiterate nel tempo, minaccia o molesta taluno, in modo da cagionarle un perdurante stato d’ansia o di paura ovvero ingenerare un fondato timore per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Il reato di atti persecutori, vista anche la sua recente introduzione, è, tuttavia, in continua metamorfosi, sia sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo processuale, attesa la necessità di proteggere la persona offesa soprattutto nella fase antecedente a quella del giudizio. Di qui l’introduzione dello strumento dell’ammonimento da parte del Questore come primo deterrente per impedire il protrarsi della condotta e garantire, anche in una fase preprocedimentale, un importante e decisa forma di tutela per la persona offesa.

In tal senso, uno degli aspetti di maggior interesse introdotti dalla recente legge sul “femminicidio”, è dato dall’ampliamento del contraddittorio con la persona offesa anche a misure cautelari diverse da quelle ex artt. 282 bis e 282 ter c.p.p. ( allontanamento dalla casa familiare ).

Infatti, con l’originaria previsione il legislatore aveva ristretto l’ambito di comunicazione alla persona offesa, in tema di misure cautelari, non al titolo di reato, bensì al tipo di misura ( l’allontanamento dalla casa familiare appunto ); l’esperienza, tuttavia, aveva dimostrato come fosse necessario che anche quando fosse applicata una misura diversa ( ad es. quella carceraria ), la persona offesa potesse essere resa edotta di quanto stesse accadendo al suo molestatore, dal momento che la sua eventuale rimessione in libertà, avrebbe potuto avere ripercussioni proprio sulla sua persona.

La legge di conversione del decreto legge ha così ampliato la procedura del contraddittorio cautelare anticipato con la persona offesa anche alle misure cautelari generali della custodia in carcere e luogo di cura o presso l’abitazione e dell’obbligo di dimora.

Tuttavia, il nuovo art. 299 c.p.p. ,se da un lato ha spostato l’attenzione sul titolo di reato anziché sulla misura cautelare in atto, disponendo che la nuova procedura sul contraddittorio venga estesa anche alla persona offesa, dall’altro ha individuato tali reati solo nei “delitti commessi con violenza sulla persona”, espungendo dal perimetro tutti quei reati, come appunto lo stalking, tra i cui elementi costitutivi figurano le minacce e la molestia reiterata, ma non la violenza.

Questa previsione determina, sull’asse delle novità proposte dalla nuova legge, tutta una serie di conseguenze negative – di natura soprattutto procedurale – contenute nella legge di conversione.

Innanzitutto, allo stalking non si applica, per le stesse ragioni, in quanto non espressione di violenza in genere, la novità in tema di avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione per l’indagato, anche senza che ne abbia fatto richiesta, così come previsto per il reato di maltrattamenti.

A nostro avviso, si tratta di una grossa incongruenza del sistema, dal momento che, come abbiamo poc’anzi evidenziato, lo stalking, anche laddove non si realizzi con il proposito di violenza sulla vittima, può incidere enormemente sullo stato di salute della persona offesa ed essere , comunque, una spia per altri ed ulteriori reati più gravi.

Viene, però estesa, alla persona offesa del reato di stalking quanto dal legislatore già introdotto per il solo reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., e cioè la disposizione speciale, gravante sul P.M., dell’obbligo di comunicazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Tuttavia, ci si è chiesti quale fosse l’esigenza di questa anticipazione, di questa discovery anticipata del procedimento penale, dal momento che non si comprende bene quali possano essere i poteri attribuiti alla stessa e che prima gli erano preclusi.

Ci si è chiesti, in particolare, se la persona offesa possa estrarre copia degli atti presenti nel fascicolo del PM nei venti giorni successivi alla notifica del 415-bis.

A tenore di legge, fermo restando una eventuale interpretazione estensiva della giurisprudenza, con la novella il legislatore ha toccato solo il primo comma dell’art. 415 bis e non anche gli altri commi successivi che regolamentano la facoltà per il difensore e l’indagato di estrarre copia e presentare memoria nei venti giorni successivi.

In realtà, mentre si può ritenere insuperabile, visto il disposto normativo, la possibilità di estrarre copia, trattandosi di una discovery anticipata e, pertanto, effettuata solo in favore dell’indagato, nel caso ella presentazione delle memorie il tenore letterario può ritenersi superato da quanto previsto dall’articolo 90 c.p.p. che prevede un diritto generalizzato alla presentazione delle memorie ed indicare elementi di prova in ogni stato e grado del procedimento.

Ma che cosa succede, invece, se manca la notifica dell’avviso di conclusioni indagini alla persona offesa?

In assenza di una novellazione dell’art. 416 c.p.p. , secondo cui la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’art. 415 bis e, quindi, non essendovi limitazioni sui destinatari della notifica dell’avviso di conclusione, l’interpretazione più aderente al tenore letterale della norma obbliga a ritenere nulla la richiesta di rinvio a giudizio anche in caso di mancata o irregolare notifica alla persona offesa. Nullità relativa ex art. 181 c.p.p, che deve essere eccepita entro il termine dell’udienza preliminare ai sensi della stessa norma. Si notano qui le differenze con l’avviso all’imputato, non essendo la prima espressamente definita come assoluta dall’art. 416 bis che la regola.

A completamento del discorso, in tema di intercettazioni telefonichee di altre forme di telecomunicazione, va precisato che lo stalking viene aggiunto al catalogo dei reati previsti dall’art. 2 del d.l. 93 inserito nella legge di conversione, per cui è possibile anche questa particolare attività investigativa.

Il problema, in effetti, si poneva per il solo stalking , dal momento che , nonostante l’elevazione del limite edittale, non raggiungeva la soglia prevista dal legislatore ed oggi inserite nell’art. 266 co 1, lett. F)-quater c.p.p.

Va, tuttavia, precisato, che già prima della novella, per le sole intercettazioni telefoniche accorreva in aiuto la previsione dell’art. 266 co 1 lett f) c.p.p., laddove estendeva il tipo di indagine anche con riferimento al mezzo con cui era stato commesso il reato.

Altra importante novità è rappresentata, in tema di assistenza della persona offesa, dalle modifiche legislative in tema di patrocinio a spese dello stato.

Con l’articolo 2 co. 3 del d.l. n. 93 viene novellato anche il testo originario dell’art. 76 co 4-ter dpr. 115/2002 nella parte in cui già prevedeva l’ammissione, anche fuori dai limiti di reddito, per la persona offesa dai reati ex artt. 609-bis, quater e ostie, estendendo la sua applicabilità anche agli articoli 572, 612-bis e 583-bis. Si tratta di un intervento di riscrittura meramente formale della legge.

La circostanza di aver eliminato per questo tipo di reati il limite di reddito per l’ammissione al patrocinio, comporta che il provvedimento del giudice che ammette la persona offesa al patrocinio dello stato non potrà essere soggetto a revoca, dal momento che la stessa è subordinata solo al superamento dei limiti di reddito.

Altre importante innovazione è stata introdotta in tema di ammonimento. Non si tratta di una modifica ma di un ampliamento dell’istituto che viene di fatto reso più incisivo prevedendo anche la revoca dell’autorizzazione al possesso o al porto di armi che il persecutore dovesse eventualmente possedere.

Si tratta di un’aggiunta perfettamente in linea con questo prefissato dal legislatore: impedire che il reato di stalking possa protrarsi a conseguenze ulteriori e più gravi. Non viene sottratto il questore del potere di valutare caso per caso se provvedere o meno a ritirare armi e munizioni, ma, attraverso un’attività vincolata, si vuole impedire che la motivazione possa contenere elementi di opportunità facilmente attaccabili.

Nel momento in cui il Questore è tenuto ad adottare il provvedimento, tuttavia il vincolo è solo nell’an, ma non anche nel suo contenuto.

La richiesta di ammonimento, tuttavia, può essere presentata solo fino a quando non è stata ancora sporta querela, contrariamente ai casi di violenza domestica dove l’ammonimento può essere disposto anche se c’è querela.

Il risarcimento del danno in sede penale.

A norma dell’art.185 ogni reato che cagioni un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui (artt. 2043-2059).

Ora è indubbio che la strada più breve per ottenere, oltre alle normali tutele, anche il risarcimento del danno resta la costituzione di parte civile, il cui indennizzo il più delle volte, e su richiesta della parte, viene limitato al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, relativamente al quantum debeatur.

Tuttavia, sul piano patrimoniale è necessario produrre in giudizio tutti gli esborsi sostenuti nell’ambito della vicenda oggetto del reato penale. E , quindi, non solo le eventuali spese mediche, laddove siano accertate patologie per le quali si è reso necessario ricorrere alle cure di specialisti, ma anche tutti gli esborsi sostenuti relativamente alle modifiche delle ordinarie abitudini di vita.

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, infatti, trattandosi di un reato che colpisce la sfera della libertà morale della persona, la sua tranquillità e l’ordinarietà dei suoi comportamenti, non si pongono particolari problemi, posto che il giudice può liquidare in via equitativa il danno che, in assenza di parametri renderebbe particolarmente ardua la quantificazione del danno.

Tuttavia, trattandosi di un reato, lo stalking, realizzato attraverso una serie di azioni reiterate e incidenti sulle abitudini di vita e, quindi, sulle relazioni della vittima, appare una tipica fattispecie di determinazione del danno definibile come esistenziale.

Poste le difficoltà per la giurisprudenza di definire una nozione di danno esistenziale, dal momento che il disposto normativo di cui all’art. 2059 fa espresso riferimento alla distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale e limitando quest’ultimo alle sole ipotesi previste dalla legge, per danno esistenziale si è inteso riferirsi a quel pregiudizio – oggettivamente accertabile – che induce il soggetto a scelte di vita diverse che, in assenza del fatto dannoso, non avrebbe operato. ( Cass. Civ., sez. III, 6 febbraio 2007 n. 2546, 28 agosto 2007 n. 18199 etc.)

In un ultimo arresto, le Sezioni Unite della Cassazione ( sent. 11 novembre 2008 n. 26972 ) hanno chiarito che nel nostro ordinamento non può trovare posto una figura autonoma di danno esistenziale, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona. Infatti, secondo il Supremo Collegio, laddove siffatti pregiudizi dovessero emergere dalla fattispecie di reato e qualora determinassero violazioni di diritti costituzionalmente protetti, questi rientrerebbero nella fattispecie ex art. 2059 c.c. se, al contrario, nella medesima nozione dovessero rientrare pregiudizi non lesivi di diritti costituzionalmente tutelati, questi sarebbero irrisarcibili, proprio per il principio di tassatività dell’art. 2059.

Secondo il supremo collegio, quindi, il danno morale non rappresenta più un’autonoma sottocategoria di danno, bensì un tipo tra i vari pregiudizi possibili; in ragione di ciò, nell’ipotesi di reato, ed in particolare di reato di stalking, è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti ( es. lesioni di un prossimo congiunto ), ma anche quello di interessi non presidiati da siffatti diritti ma meritevoli di tutela costituzionale, poiché la tipicità del disposto ex art. 2059 c.c. rientra nella volontà legislativa di configurare come risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato.

Per tali ragioni, il danno non patrimoniale morale ( pretium doloris, afflizioni, modificazioni di vita etc. ), in quanto ne costituisce titolo l’art. 185 c.p., sarebbe risarcibile come danno morale in senso stretto, mentre il danno non patrimoniale non strettamente morale,può essere risarcito solo in quanto lesivo di diritti costituzionalmente protetti.

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