Studio legale associato Forensis

Forensis

Studio legale associato

L’evasione commessa nel corso degli arresti domiciliari, divenuti poi esecutivi ai sensi dell’art. 656 comma 10 c.p.p., non può rappresentare motivo idoneo da solo a determinare la revoca del beneficio della detenzione domiciliare.

 

Il Caso: In data 07-03-2018, A.A. veniva colpito dall’ordine di esecuzione per la carcerazione con contestuale provvedimento di sospensione e prosecuzione della detenzione in regime di detenzione domiciliare ( ex art. 656 comma 10 c.p.p. ), in ragione della sentenza emessa in data 27/04/2017 dalla III sezione della Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza n. xx/xxxx emessa in data xx/xxxx dal Giudice per indagini preliminari del Tribunale di S. Maria C.V. ( a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’istante ). In data 25/10/2018, il Magistrato di Sorveglianza, ex art. 51 ter L.P., a seguito delle informazioni assunte per mezzo dell’autorità competente, sospendeva in via provvisoria la misura in corso in ragione dei due procedimenti penali pendenti per il delitto di evasione ex art. 385 c.p., commessi il 1 aprile del 2015 ed il 26 settembre 2017, incompatibili con la misura in essere, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale per l’ulteriore corso.

In data 21 Novembre 2018, il Tribunale di Sorveglianza di Napoli “ratificava” il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Napoli, giacché risulta che il condannato nel corso della misura veniva arrestato per evasione in data 01/04/2015 e 15/09/2017 e giudicato con rito direttissimo e, pertanto, avuto riguardo alla gravità della violazione contestata, la misura alternativa va revocata.

Il Ricorso: I difensori di A.A., Avv.ti Marco Alois e Pierluigi Grassi, propongono ricorso per Cassazione in due motivi con i quali manifestavano, da un lato , la manifesta illogicità della motivazione violazione dell’art. 656 comma 10 c.p.p. , in quanto le violazioni erano state commesse prima dell’inizio della misura alternativa, sicché non potevano incidere su questa inerendo all’originaria misura cautelare; dall’altro, con il secondo motivo lamentando la manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione dell’art, 47 ter O.P., non essendo intervenuta una doverosa valutazione della condotta in termini di effettiva incompatibilità con la misura alternativa.

La decisone: La prima sezione penale del Supremo Collegio, con la sentenza nr3768 del 2020 all’udienza del 26/11/2019, riteneva fondate le richieste del ricorrente annullando l’ordinanza impugnata e rinviando al Tribunale di Sorveglianza per altro giudizio.

In particolare, la Corte nel ribadire che, ai sensi dell’art. 656 comma 10 c.p.p., il condannato, fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza in ordine all’eventuale applicazione di una delle misure alternative, rimane nello stato detentivo in cui si trova al momento dell’esecuzione della pena, chiarisce che la condizione del reo è parificata a quella di un soggetto sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare. In tal senso, si parla di “arresti domiciliari esecutivi”, la cui prosecuzione deve essere valutata e vagliata dal Magistrato di Sorveglianza il quale può disporre in via cautelativa la sospensione del beneficio rimettendo gli atti al Tribunale si sorveglianza a per la decisione definitiva.

Pertanto, secondo la Corte, le valutazioni del Magistrato di Sorveglianza prima e soprattutto del Tribunale successivamente, possono anche estendersi a condotte precedenti lo stato di detenzioni ed attinenti al regime di custodia cautelare, purché poste a confronti con tutte le altre conoscenze acquisite sui comportamenti precedenti e successivi, così da rappresentarsi, in ragione del complesso iter valutativo, l’effettiva ed attuale verifica delle condizioni richieste per la concessione della misura alternativa.

Ad ogni modo, chiarisce il Supremo Collegio, il divieto enunciato dall’art. 58 quater in relazione alla concessione dei benefici penitenziari presuppone necessariamente l’affermazione definitiva della penale responsabilità del condannato, intervenuta con sentenza irrevocabile e dà corpo ad una preclusione valida solo per i fatti riguardanti l’esecuzione della pena e sempre in modo assoluto ( cit. Cass. Pen. Sez I, n. 7541 del 25/02/2011, rv. 249805 ).

Inoltre, conclude la Cassazione, il Tribunale non avrebbe dovuto “ratificare” o “revocare” il suddetto beneficio, dal momento che non era stato concesso, bensì doveva assumere una decisione in merito alla possibilità o meno dell’ammissione al beneficio sulla scorta delle richieste pervenute. A ciò si aggiunga che, nonostante tutto, il semplice fatto dell’evasione non può comportare ex se una condizione normativa preclusiva.

Informazioni sull’autore

*/?>